Finanza Comportamentale: Quando i peggiori nemici dei nostri soldi siamo noi
William James, psicologo e filosofo di fine ottocento, definì il nostro cervello un “avaro cognitivo“; espressione perfetta per descrivere la tendenza del nostro cervello a cercare scorciatoie mentali nella comprensione della realtà.
Perché “sbagliamo”
Spesso e volentieri, quando dobbiamo prendere una decisione, anche se importante, anche se ci sembra di stare usando la razionalità, dimostriamo un mix d’istinto, esperienze pregresse e pregiudizi.
Tale meccanismo, non è sbagliato, anzi può essere salvifico. Per andare sul pratico questo è ciò che ci fa lasciare una casa in fiamme immediatamente senza aver bisogno di processare tutte le informazioni, i rischi, le opportunità e le probabilità. Tuttavia, quando non usato in ottica di sopravvivenza, tale automatismo, conduce a gravi errori di valutazione.
In particolare in finanza rappresenta il rischio, quasi certo, di sbagliare comportamento e di conseguenza perdere soldi.
La nascita della materia
Sono passati molti anni prima che la teoria del “cervello come avaro cognitivo” fosse applicata alla finanza.
Negli anni settanta, due psicologi, David Kahneman e Amos Tversky cominciarono ad adottare una prospettiva che privilegiava l’analisi e la descrizione dei fattori psicologici implicati nei vari processi decisionali, tra cui quelli attinenti l’economia. L’evidenza contenuta nei loro studi ha potato alla consacrazione della “finanza comportamentale” come materia di studio, al superamento della teoria dell’economia classica dell’ “Homo oeconomicus”, tale per cui l’uomo prende decisioni nel suo interesse personale in modo razionale, e condotto i due ricercatori alla conquista del Nobel per l’economia.
Pensieri lenti, pensieri veloci
Alla base delle nostre fallacie, in finanza comportamentale chiamate euristiche o bias, vi è il concetto dei due sistemi mentali: il primo (sistema 1) rapido e intuitivo, il secondo (il sistema 2) lento e riflessivo.
Noi abbiamo bisogno di usare all’occorrenza entrambi i sistemi:
- Il primo per reagire velocemente nelle situazioni di pericolo, le funzioni quotidiane marginali che non hanno bisogno di ragionamenti (quelle in cui azioniamo il “pilota automatico“, ad esempio quando ci laviamo i denti o ci prepariamo un caffé) e per vivere in modo sano le nostre emozioni.
- Il secondo quando ci troviamo di fronte a situazioni in cui è necessaria una certa capacità analitica e di problem solving.
Il contributo della finanza comportamentale nella consulenza finanziaria
Nel tempo i contributi teorici ed empirici alla materia sono stati numerosi e hanno permesso di classificare moltissimi comportamenti “errati” con cui le persone gestiscono il proprio denaro (ad esempio l’avversione alla perdite, il bias di conferma, del rimpianto e molti altri di cui mi occuperò più avanti nel blog).
Tale lavoro ha certamente aiutato il rapporto tra il consulente finanziario e il cliente; innanzitutto perché ha dotato lo stesso professionista di un tool-kit di informazioni a proposito degli errori più comuni che si compiono nel suo ambito per via dell’emotività; e secondariamente perché ha permesso al primo di occuparsi dei soldi del secondo riuscendo a parlare il suo linguaggio, comprendendo le sue paure e riducendo di conseguenza l’impatto che le distorsioni cognitive hanno sulle loro finanze.
Ci si può correggere da soli?
Sicuramente rendersi consapevoli dei propri bias e sollecitarsi a cambi di prospettiva può essere utile, ma è difficile che se non si è anche esperti nella materia si riesca a capire davvero ciò che sta succedendo sui mercati, specie nei momenti di maggiore emotività, per tanto è sicuramente sempre necessario “condividere” il proprio percorso con le opportune figure professionali.